sabato 2 giugno 2007

ilha de Tavira









Sono passati quasi 5 anni da quando io, Dani e Manuel finimmo quasi per caso in quella piccola isoletta durante il nostro viaggio nel Sud del Portogallo; mi ricordo che me l'aveva consigliata un mio amico dell'Università che c'era stato l'anno prima..beh non avrei mai pensato che un posto del genere mi sarebbe rimasto dentro per così tanto tempo (insieme a tutto il Portogallo)..

Molte volte mi è balenata l'idea e la voglia di rimettere piede su quella sabbia , ma forse uno ha sempre un po' di diffidenza nel tornare dopo qualche tempo in luoghi che gli avevano lasciato ricordi così profondi e intensi.

La vera paura credo che sia quella di notare le differenze e vedere con un po' di amarezza i cambiamenti rispetto a quando ci si era stati per la prima volta..ma sono sicuro che lì non è così, non è posto da stravolgimenti, lo penso e lo spero perchè mi piacerebbe tremendamente ritornarci per riassaporare quell'atmosfera unica..

Viste le nuvole sul mio futuro Agosto, ci sto facendo seriamente un pensierino e ieri notte ho cercato qualcosa in internet e ho trovato questo articolo (datato di qualche anno visto che parla ancora in lire e escudos..) che rende molto meglio di quanto una mia banale descrizione avrebbe potuto fare...


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“ E se perdo il battello?” … E’ un pensiero che normalmente arriva verso ora di cena, mentre magari si beve un bicchiere di vino in spiaggia, in attesa di una espedata mixta (uno spiedino di pesce), e che si insinua fin verso le undici e mezza della sera nelle menti senz’altro distese dei fortunati “clienti” del camping di Ilha de Tavira. Poi passa, e la notte prende il sapore del mare…
In effetti le acque hanno ormai sommerso il lembo che una volta univa l’isola alla terraferma e l’unico mezzo per raggiungere l’altra sponda è un piccolo peschereccio malandato che fa avanti e indietro per tutta la giornata, dalla mattina presto fino a poco prima della mezzanotte.
Un peschereccio che sa di magico, involontario traghettatore di anime in un’atmosfera del tutto speciale e da cui non è facile staccarsi.
Ilha de Tavira è il nome dell’isolotto di fronte alla cittadina omonima,Tavira, a metà strada tra Faro e il confine Spagnolo, in pieno Algarve; un piccolo e delizioso centro di mare, con tanto di palme, piccole vie piene di caratteristici negozi d’artigianato e un mercatino per tutti i gusti vicino al porto.
Ma il vero angolo di paradiso è lì dietro, a dieci minuti di lento navigare e 100 escudos (mille lire) di biglietto andata e ritorno.
L’isola ha una superficie lunga e molto stretta con una larga spiaggia che prende uno dei lati. Un’unica strada divide per un tratto la sabbia dalla terra, poi spazio. Niente macchine, motorini, barche, motoscafi, niente. Qualche ristorante sul “lungomare”, un bar sulla spiaggia e basta. Oltre al campeggio, naturalmente, impostato anch’esso sui canoni di libertà. Niente numeri di piazzola, categorie di lusso, prenotazioni, posti al sole e posti all’ombra. Un bosco molto grande, un terreno molto morbido (cosa fondamentale) e una tenda: la metti dove vuoi, dove trovi posto, dove ti piace di più. Nessuno ti disturberà. Bagni puliti, numerose docce e un piccolo spaccio-alimentari. Finito, questa è Ilha de Tavira. E questo nulla apparente è il segreto della sua magia.
E così ci troviamo a trascorrere queste giornate molto lunghe, riscoprendo i piaceri della lentezza, l’attenzione agli odori o ai rumori, inebriandoci ora dopo ora del piacere di non sapere mai quello che si dovrà fare un attimo dopo o magari domani. Può essere tutto o niente. Ci sono giorni che resti in spiaggia a leggere, poi mangi qualcosa da qualche parte, e ogni tanto incontri qualcuno e parli, di tutto o di niente, non importa. Si può fare sport, si gioca a calcio sulla spiaggia, c’è chi fa surf dalla mattina alla sera, chi passeggia in riva al mare, chi inventa tornei di beach volley. Gruppi di giovanissimi portoghesi suonano il berimbau, lo strumento tradizionale della capoeira, la lotta degli schiavi Angolani, ora trapiantata in Brasile, e altri seguono con tamburi e jambè. Il ritmo ti perseguita, all’inizio ti ossessiona, poi ti entra dentro e fa parte della tua giornata, scandisce i tuoi tempi e accompagna i tuoi gesti, e inevitabilmente ti lasci cullare.
Unico riferimento, la tenda, con le tue cose. Tutto controllato dai sorveglianti del camping, anche se aleggia forte il sospetto che non ce ne sarebbe nessun bisogno. E i giorni passano in questo modo, lenti, intensi, rigeneranti, mai noiosi. E ogni sera quel dubbio, l’ultimo battello che se ne va insieme all’ultima possibilità di trascorrere una nottata sulla terraferma, discoteche, locali, gente.

E ogni sera siamo rimasti qui, come tutti, incapaci di sottrarci al sottile fascino del nulla.

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